Martedì 13 maggio 2025 la comunità del Collegio si è ritrovata per il IX incontro culturale dal titolo: “Per una critica della speranza”.

Ospite dell’incontro è stato il prof. Stefano Bancalari, professore associato presso il Dipartimento di Filosofia della Sapienza Università di Roma, dove insegna Filosofia della Religione, e professore invitato presso la Pontificia Università Gregoriana, dove insegna Fenomenologia della Religione. Collabora regolarmente con la «Theologische Literaturzeitung».
È vicepresidente della Società Internazionale di Fenomenologia della religione. È tra i membri fondatori dell’International Network for Philosophy of Religion.
È membro del Wissenschaftlicher Beirat della Internationale Rosenzweig Gesellschaft e del Centro International de Estudios sobre el Nihilismo Contemporáneo.
È vicepresidente del Direttivo della sezione romana della Società Filosofica Italiana, membro del Comitato esecutivo della Consulta italiana di Filosofia, membro dell’Associazione Italiana di Filosofia della Religione e membro della Società Italiana di Filosofia Morale.

Cosa posso sapere? Cosa devo fare? Cosa mi è lecito sperare?
È a partire da queste celebri domande kantiane che si sviluppa la riflessione del prof. Bancalari sulla speranza, per poi compiere un salto a ritroso fino a Eraclito: “Se non spera, non troverà l’insperato”; e giungere infine alla meditazione heideggeriana sulla parousia nelle lettere di Paolo.

La filosofia può dire qualcosa di sensato sulla speranza? Può offrire un contributo rigoroso alla sua comprensione? Dall’esito del nostro incontro, sembrerebbe proprio di sì.
Con Kant è possibile stabilire distinzioni e confini che legittimano la conoscenza e, quindi, permettono di individuare le condizioni di possibilità della speranza. Grazie al pensiero kantiano, la speranza acquisisce la dignità di questione eminentemente critica.

Da questa premessa, con Eraclito si coglie il legame profondo tra speranza e insperato. Il passo eracliteo è noto per la sua difficoltà filologica, ma nella sua traduzione più rigorosa consente un accostamento al capitolo 4 della Lettera ai Romani: “Egli ebbe fede contro ogni speranza”. La speranza si rivela allora strutturalmente legata a ciò che non è lecito – anzi, non è nemmeno possibile – sperare.

In questa direzione conduce l’interpretazione heideggeriana delle lettere paoline: la struttura della speranza cristiana è radicalmente diversa da ogni forma di attesa.
Diverso è l’attendere (Erwarten) dalla speranza (elpis) cristiana, che non si risolve in una sterile attesa nel fluire lineare del tempo, ma invita piuttosto a scardinare il concetto classico di temporalità e ad assumere un atteggiamento: “Non dormiamo dunque come gli altri, ma restiamo svegli e siamo sobri” (1Ts 5,6).

Con queste parole, Paolo risponde a una domanda di tipo cognitivo (quando arriverà la parousia?), rovesciandola nel suo nucleo, che pretende di sapere a ogni costo. La parousia, infatti, non è oggetto di curiosità da soddisfare, ma si manifesta a chi assume un atteggiamento di disponibilità al contra-ttempo.

Alla luce di questa interpretazione possiamo leggere il passo del Vangelo di Marco sul paralitico:

Si recarono da lui con un paralitico portato da quattro persone. Non potendo però portarglielo innanzi, a causa della folla, scoperchiarono il tetto nel punto dov’egli si trovava e, fatta un’apertura, calarono il lettuccio su cui giaceva il paralitico. Gesù, vista la loro fede, disse al paralitico: «Figliolo, ti sono rimessi i tuoi peccati».

Il paralitico sperava di essere guarito. Invece, accade il contra-ttempo dell’insperato, della speranza contro ogni speranza: l’incontro con il Figlio di Dio che perdona i suoi peccati.