In una lapide ancora oggi situata al centro del colonnato del cortile del Collegio Capranica si fa menzione di quella “Vetustissima Biblioteca Dominici Cardinalis Capranica huius Collegii fundatoris” che egli, prima di morire, donò pro utilitate et comodo studentium dicto Collegio. Già nelle Costituzioni che avrebbero disciplinato la vita del Collegio, il Capranica accenna alla creazione di questa Biblioteca, designando persino il luogo che doveva essere adibito per la custodia dei suoi libri: in Camera, quae est in medio Domorum nostrarum versus orientem, quae habeat tres fenestras ferreas, fiat Libraria de libris nostris, quos eidem Collegio dedimus et damus.

Originariamente la biblioteca disponeva di 388 volumi, per un totale di 2000 opere in essi contenute. Questa cifra si ricava dal Codice Vaticano Latino 8184 che riporta il più antico inventario della Biblioteca Capranicense, risalente al 1480. La maggior parte dei volumi erano manoscritti, rivestiti di pelle rossa (corio rubeo) o di altro colore. Solitamente era anche menzionato il formato di ciascun volume (parvum, magnum) e su quelli di un certo valore veniva riportata la scritta pulchrum oppure pulcherrimum. Il cardinale Capranica voleva che ogni volume della sua biblioteca fosse adagiato su uno degli scanni e legato ad essi con una o più catene. I libri, poi, dovevano essere ordinati secundum convenientem ordinem, ita ut libri Sacrae Theologiae sint in una parte, libri Jurium in alia, libri vero Philosophiae in alia, libri Gentilium et Rhetoricum in alia, secundum quod Rectori et Scholaribus videbitur expedire.

Non sappiamo, in effetti, se nella catalogazione e sistemazione di tutta la raccolta siano state eseguite alla lettera le indicazioni del nostro cardinale. Anche questa Biblioteca, come tante altre in quel tempo, pare sia stata ordinata secondo le norme che Tommaso Parentuccelli, incaricato da Cosimo de’ Medici, aveva disposto per quella del convento di San Marco in Firenze. Il Parentuccelli, infatti, per questo convento, aveva disposto e ordinato per materie ciò che gli sembrava necessario: prima di tutto la Bibbia, poi i Padri della Chiesa, i grandi teologi del Medioevo, Aristotele e i suoi commentatori, Platone per quanto era stato tradotto, i prosatori più importanti di Roma antica. Fra i poeti egli concedeva ai frati Ovidio e Orazio, ma del primo soltanto le Metamorfosi.

Lo studio di Antonovics sulla Biblioteca Capranica ci conferma come, in effetti, la sistemazione dei libri in essa contenuti non si allontana di molto dalle norme di catalogazione introdotte dal Parentuccelli. Secondo quest’autore, infatti, i volumi della Biblioteca Capranica, divisi in sezioni, erano disposti su undici scanni alla destra e altrettanto undici sulla sinistra. La prima sezione di libri, posti sulla destra, era composta principalmente da opere bibliche, tra le quali ricordiamo un salterio con glosse, due volumi di lettere paoline, il libro della Legenda Sanctorum insieme con il De modo preparandi se ad missam celebrandum di S. Bonaventura. Nella seconda e terza sezione spiccano particolarmente le opere di S. Agostino. Ricordiamo le più importanti: Confessiones; De videndo deo; Omelie; Sermones; De Trinitate; Expositio super psalmos; Milleloquia; De Civitate Dei; Epistolae. In queste due sezioni troviamo anche la regola di S. Benedetto, le orazioni di S. Gregorio, alcune opere di S. Ambrogio e S. Basilio. I Padri della Chiesa occupano gran parte della quarta e quinta sezione. Predominanti gli scritti di S. Girolamo, S. Gregorio Magno e S. Giovanni Crisostomo insieme con le Epistolae di Cipriano, il De ira Dei di Lattanzio, il Thesaurus di S. Cirillo, l’Apologeticum di S. Gregorio Nazianzieno, il primo libro delle Institutiones di Cassiodoro e il Super Nestorianos de incarnatione di Cassiano. In queste due sezioni troviamo anche il Phaedo di Platone, tradotto da Leonardo Bruni, un Martirologium e un libro di discorsi di San Bernardo super cantica canticorum. Le opere di S. Bernardo formano la sesta sezione, arricchita dalle Lettere di Papa Leone I, qualche scritto di S. Ambrogio e il libro delle Rivelazioni di S. Brigida di Svezia.

La settima sezione è interamente dedicata a S. Tommaso d’Aquino e a diversi commentari della sua opera. Troviamo, tuttavia, alcune opere di S. Bonaventura, Alessandro di Hales, il De conformitate vitae Sancti Francisci di Bartolomeo da Pisa e il trattato De septem peccatis mortalibus di Laurentius de Rudolphis. Anche la nona sezione contiene opere di patristica: una Vitae Patrum; le Collationes sanctorum patrorum; il De celesti hierarchia di Dionigi e il De fuga saeculi di Ambrogio. I libri della decima sezione sono composti da miscellanee di opere ecclesiastiche e trattati quali le Decretali di S. Isidoro, le Lettere di Papa Innocenzo III, una Cronica Romanorum Pontificum. L’ultima sezione contiene specialmente le opere di Aristotele e suoi diversi commentari.

I libri sistemati sui banchi di sinistra, invece, erano composti nella maggior parte da opere di diritto canonico, trattati legali e decreti dei più importanti Concili della Chiesa. Elenchiamo alcuni autori: Gilles de Bellemere; Johannes Andreae; Francesco Zabarella; Innocenzo IV; Guido de Baysio; Giovanni da Imola e l’illustre contemporaneo del Capranica, Juan Torquemada. Appartiene a queste “sezioni di sinistra” anche lo Speculum Iudiciale di Guillelmus Durantis e il De Planctu Ecclesiae di Alvarus Pelagius. Le sezioni finali (VIII-XI) sono quasi esclusivamente composte dalle opere dei classici latini: Seneca, Gellio, Apuleio, Cicerone, Quintiliano, Valerio Massimo, Cesare, Virgilio, Plauto, Lucano, Stazio, Persio, Giovenale, Ovidio e Orazio. Assenti le opere in lingua volgare. Unica eccezione le Laudi di Jacopone da Todi e, con queste, un trattato enciclopedico in versi sugli uccelli, sui pesci, sui serpenti e sulla frutta. Del Petrarca e del Boccaccio si trovano soltanto scritti latini, mentre Dante Alighieri è ricordato da un Rescriptum super Dantem poetam vulgarem. La Biblioteca pare fosse sprovvista, inoltre, di opere in lingua greca: gli scritti di Aristotele e di Platone, come pure di Eusebio e San Giovanni Crisostomo – già precedentemente menzionati – sono presenti in traduzioni latine. Nella Biblioteca c’era posto anche per alcuni trattati scientifici, fra cui la Cosmografia di Tolomeo e la Geometria di Euclide. A questa lunga lista di opere che impreziosivano la Biblioteca si aggiungono gli scritti attribuiti allo stesso Cardinale Firmano, un messale e, infine, l’inventario dei libri raccolti nella medesima Biblioteca.

Il grande amore che il Cardinale Capranica nutriva per la sua Biblioteca è ampiamente documentato dalle Costituzioni del Collegio che contengono alcuni capitoli dedicati specificatamente alla cura e manutenzione della Biblioteca. Due bibliotecari, eletti ogni anno tra gli alunni, dovevano avere cura speciale dei volumi, verificarli, spolverarli e libraria scopis purgare in quanto ex immundicitiis terrae exhalant pulveres ad libros, qui etiam libros destruunt. Ogni sabato, poi, dovevano controllarli minuziosamente, ne forte suadente Diabolo aliquis ex ipsis Scholaribus aliquem librum, vel ejus partem furtive subtrahat. La porta della Biblioteca doveva avere due serrature con rispettive chiavi. Di una serratura le chiavi potevano essere solo due, custodite dai bibliotecari. L’altra serratura, invece, poteva avere tot claves numero quot sunt Scholares simul cappellanis dicti Collegii. Tuttavia ai Cappellani la chiave non veniva consegnata subito, ma dopo un periodo di prova, durante il quale si sarebbero dovuti mostrare fedeli, studiosi, ma soprattutto tales de quibus verisimiliter credi non possit quidquam sinistrum. Durante il periodo di prova sarebbe stato loro permesso di consultare i libri solo se accompagnati da qualcuno degli alunni.

Consegnare le chiavi era lasciato alla discrezione del Rettore e dei Consiglieri, come pure concedere agli studenti del Collegio di entrare nella sala per studiarvi, quando essi avessero voluto. A nessuno degli alunni era permesso studiare in essa cum candela. Compito dei bibliotecari era anche quello di aprire la porta della Biblioteca la mattina ad ora conveniente e chiuderla la sera post horam XXIIII. Soltanto in casi eccezionali era consentito il prestito dei libri. E quando il Rettore e la maggioranza degli alunni lo permettevano, veniva imposto a colui che riceveva il prestito di lasciare un pegno duplo maioris valore e un limite di tempo per la restituzione. Nonostante si trattasse di una Biblioteca privata, il cardinale dava anche agli estranei la facoltà di consultare i libri se accompagnati, ovviamente, da qualche alunno del Collegio. Naturalmente, nei riguardi dei trasgressori di tali regole, erano previste pene severe che potevano andare dalla scomunica all’espulsione perpetua dal Collegio, secondo l’entità del danno causato. Perché nessuno ne ignorasse il regolamento, due copie di esso erano messe in vista: una sulla porta della Biblioteca, l’altra intra librariam in loco eminenti.

Purtroppo, nonostante le minuziose raccomandazioni del nostro cardinale, anche la sua Biblioteca andò dispersa nel corso dei secoli. Già durante il pontificato di Paolo V (1605-1621) alcuni manoscritti furono portati alla Biblioteca Vaticana tra cui il Bellamera sopra il VI libro delle decretali “et altri libri che meglio si conserverebbero nella Vaticana”. In un catalogo che risale al 1657 la Biblioteca si trova diminuita di alcuni volumi. In questo stesso periodo sembra che anche Alessandro VII (1655-1667), che si occupò di formare la vita interna del Collegio Capranica, diede l’ordine di far trasportare altri volumi alla Biblioteca pontificia. Qualche codice finì anche fuori Roma e si trova alla Classense di Ravenna e alla Laurenziana di Firenze. Sul finire del XVIII sec. l’ondata rivoluzionaria di Napoleone Bonaparte non risparmiò neppure il Collegio Capranicense: buona parte della Biblioteca fu portata via dai francesi e non fu più restituita integralmente al Collegio.

Nel 1842 un gran numero di volumi della Biblioteca furono venduti a Giovanni Francesco De Rossi – marito della principessa Luisa Carlotta di Borbone, figlia di Luigi, Re d’Etruria e Duca di Parma – che durante gli anni 1838-1854 aveva radunato a Roma, proprio nel palazzo della sua consorte, una preziosa collezione di più di 1000 codici, circa 2500 incunaboli e circa 6000 altri libri stampati. Giovanni De Rossi fece apporre l’iscrizione Ex Biblioteca Cardinalis Firmani sul dorso di tutti i codici, una volta appartenuti alla Biblioteca Capranica. Inoltre, in molti di essi si trova dipinto lo stemma del Cardinale, o vi sono varie correzioni e note di suo pugno.

Dopo la morte del De Rossi, avvenuta nel 1854, la vedova, temendo la dispersione della ricca biblioteca raccolta dal marito, la donò ai Gesuiti in Roma che la fecero trasportare nella loro Congregazione: secondo il documento di donazione essa sarebbe passata alla Casa regnante d’Austria in caso di soppressione della Compagnia di Gesù o della Congregazione presente in Roma. Così, quando il governo italiano, dopo l’occupazione di Roma, soppresse alcune delle corporazioni religiose e simili sorte nel 1873, minacciando anche la Congregazione dei Gesuiti, l’Ambasciatore austriaco presso il Vaticano chiese di salvaguardare l’interesse dei suoi sovrani, impedendo la confisca della Biblioteca. Egli, infatti, la fece trasportare a Palazzo Venezia, sede dell’Ambasciata austriaca, e in un secondo momento, nell’autunno del 1877, la trasferì a Vienna. Dopo una sistemazione provvisoria, nel 1895 essa fu nuovamente trasferita e collocata nel Collegio dei Gesuiti nella Lainzerstrasse. In seguito tutta la Biblioteca Rossiana venne a far parte della Biblioteca Vaticana, dove ora si trova a disposizione degli studiosi.

Attualmente la Biblioteca Capranica conta tra le proprie scaffalature circa 40.000 volumi. Questo patrimonio culturale, al passo con i tempi e aggiornato fin nelle ultime pubblicazioni, è frutto delle acquisizioni compiute dai superiori che si sono avvicendati alla guida dell’Istituzione. Ad un ulteriore e sostanzioso incremento hanno contribuito i lasciti degli ex-alunni capranicensi che, sulle orme del Cardinale Fondatore, hanno voluto donare le proprie personali biblioteche a vantaggio di un cammino di ricerca e di studio che non si esaurisce e per la crescita di quella Biblioteca che, ancora oggi, adempiendo la volontà del Cardinale Fondatore, cum majori solicitudine servetur.

A. Saraco